Citazioni famose

Carlos Eduardo Gavito
Il più grande tanguero del mondo, continua dicendo che il ballerino “deve solo sentire la musica. I nostri piedi sono come i pennelli di un pittore. Con essi dipingiamo la musica”
ed ancora
“Il segreto del tango sta in quell’istante di improvvisazione che si crea tra passo e passo. Rendere l’impossibile una cosa possibile: ballare il silenzio.”
Ballare il silenzio, ecco, questo è il tango e da tali frasi (ma ne potrei citare molte altre) si capisce come Carlos abbia voluto portare questa danza fuori dalle Milonghe perché il tango non finisce dentro una pista da ballo ma va al di là dei passi essendo qualcosa che coinvolge l’esistenza profonda di una persona.

Homer Simpson
Per sdrammatizzare un po’ quella parte filosofica del nostro essere che ci porta talvolta a pensieri cupi e tristi, ho postato questo mese una citazione divertente, a differenza di quelle serie e profonde che sono solita pubblicare.
A pag. 203 del mio romanzo “La ragazza con il sax” parlo della birra Heineken e di come ho conosciuto il Rappresentante di quella società nel paese che mi ospitava. Parlo anche della birra in generale, a proposito della mia prima ed unica ubriacatura, appunto, di birra, quando mi trovavo ad Oxford per un breve periodo di stage.
Io amo bere in compagnia qualche bicchiere di vino o di birra ma senza mai esagerare e ho appena pubblicato un nuovo argomento sul mio Blog dal titolo Cucinare per gli amici, proprio perché sono una festaiola. Vivendo molti anni all’estero, però ho notato che mentre gli italiani non hanno mai bisogno di bere molto per sentirsi e mostrarsi sé stessi e per aprirsi al divertimento, la stessa cosa non si può dire per gli stranieri (perlomeno per quelli che ho conosciuto e sono tanti) che hanno bisogno di bere parecchio prima di rilassarsi, ma non so dare una spiegazione a questo atteggiamento. Chissà se qualcuno può aiutarmi a capire il motivo. Noi italiani socializziamo più facilmente? Siamo, in generale, più sicuri di noi stessi e non abbiamo bisogno dell’aiuto dell’alcool? Mah…. È carina la citazione di Homer, vero?

Walter Bonatti
Prima ancora dell’annuncio della Rai sulla messa in onda in autunno della docu-fiction dedicata a Walter Bonatti e alla sua compagna Rossana Podestà (la Rai non ha bisogno della mia pubblicità, piuttosto il contrario) mi avevano colpito le parole del Re delle Alpi che ho postato nelle citazioni di questo mese. In realtà non è che lui abbia detto chissà che cosa di nuovo, perché l’associazione tra il valore degli uomini che realizzano un’impresa e l’impresa stessa può riguardare molte altre forme dell’agire o del creare. Un dipinto, una scultura, dei resti di un antico tempio greco, presi di per sé potrebbero essere da alcuni visti semplicemente come un pastrocchio di tempere su una tela, un ammasso di argilla con delle forme, delle pietre poste una sull’altra. Ma dietro quel dipinto, quella scultura o quel tempio vi è la storia degli uomini che li hanno realizzati così come vi è una storia dietro a chi interpreta quella tela, quell’ammasso di argilla e quelle pietre o dietro all’uomo comune che li guarda, ammirandoli nella loro essenza o denigrandoli come “un niente”.
Le parole di Bonatti mi hanno fatto riflettere sulle motivazioni che inducono gli alpinisti a scalare e che non vedono, evidentemente, le grandi montagne come un cumulo di sassi.
Alla domanda postagli da un giornalista su cosa pensasse del fatto che alcuni psicologi attribuissero alle motivazioni dell’alpinismo o dell’avventura estrema una sorta di immaturità, una forma di infantilismo insuperato, Bonatti rispose che “l’alpinismo ha la forza di creare degli uomini, di allargare gli orizzonti dell’uomo” e che “l’alpinismo tradizionale ha il merito di aver arricchito l’uomo di esperienze che affondano le radici nella morale, nell’etica e nell’estetica”.
Cosa pensate del rapporto che lega un alpinista alla montagna e in generale di coloro che per vivere più intensamente hanno bisogno di misurarsi con dei rischi estremi?

Edmond Haraucourt
È l’incipit di una poesia di Haraucourt che ho scelto come citazione del mese, collegando la partenza ai viaggi, quinto argomento del mio Blog ed al consiglio di lettura mensile. Manfredi, l’amico ritrovato di Gloria, nel mio romanzo “La ragazza con il sax” inizia il suo messaggio di saluto proprio con queste cinque parole. Sono d’accordo su questo stato di morte “metaforica” quando si parte per un lungo periodo, perché sai di lasciare i propri affetti e luoghi che conosci. Ogni volta che io partivo dall’Italia per raggiungere il mio luogo di lavoro all’estero provavo un forte dolore per il distacco, dalla mia famiglia di origine in un primo periodo della mia vita e successivamente da mio figlio che doveva frequentare l’Università e non poteva seguirmi.
Non provo, invece, lo stesso sentimento di amara separazione quando parto per un viaggio di piacere perché so che il distacco dagli amici, dalla famiglia e dalle mie cose è solo momentaneo. Il sentimento che provo in questi casi è di pura euforia per il piacere della scoperta e non mi curo affatto di ciò che lascio.
E allora cari amici, l’argomento ci porta ad affrontare inevitabilmente temi come la sicurezza, la stabilità e la protezione che ci dà la nostra “comfort zone”. Cosa ne pensate dei consigli di quegli esperti che ci sollecitano ad abbandonare un ambiente conosciuto e, quindi, protettivo? Insomma, ci dicono che per crescere è utile uscire dalla zona di conforto. Pensate che sia vero quello che dicono i soliti esperti che ci si accontenta di restare nella nostra cara zona di conforto perché l’abitudine è un forte rimedio che neutralizza il desiderio di sobbarcarsi un rischio di cui potremmo pentirci? Infine, cosa ne pensate del Partire, è un po’ morire?

Richard Bach
Sempre per rimanere nel tema della pagina 204 del mio romanzo che ho postato l’ultima volta, nel ricercare in casa il libro del Piccolo Principe, ho ritrovato una novella lunga popolarissima, che ho letto da bambina, di Richard Bach, dal titolo Il Gabbiano Jonathan Livingston. Non so quanti di voi abbiano letto questo bellissimo romanzo breve, celebre in tutto il mondo, che raccomando ai lettori di ogni età. Io ne faccio un sunto nel mio libro, concludendo: “[…] cominciavo a capire che avrei dovuto anch’io elevarmi, rifiutare i beni materiali e che avrei dovuto fare come Jonathan, ‘volare’ attraverso il distacco dal corpo e dalla Terra per raggiungere un qualcosa di superiore. Non ero ancora pronta e non sapevo neppure se avessi avuto voglia di spiccare quel volo. Perché? Io stavo tanto bene così”.
Fatemi sapere il vostro pensiero su questo stato dell’anima. Io trovo difficile staccarmi dai beni materiali, mi piace la moda e spendo per comprare abiti e scarpe, mi piace avere in casa begli oggetti a cui sono attaccata, amo la mondanità e tante altre cose terrene. Qualcuno mi ha già obiettato che è possibile amare tutto ciò e contemporaneamente elevarsi spiritualmente, non lo so, mi sembra una contraddizione. Cosa ne pensate?

Antoine de Saint-Exupéry
Chi non conosce questa frase pronunciata da una volpe! La menziono a pag. 204 del mio libro La ragazza con il sax, quando parlo di aver conosciuto un discendente di Antoine de Saint-Exupéry, meglio noto come l’autore de “Il Piccolo Principe”.
Questa non è una frase smielata e sembra ovvio quello che dice la volpe al Principe quando lo incontra, ma non lo è. La prova, per quanto mi riguarda, è questa mia prima esperienza sui social. In molti mi state scrivendo dei vostri disagi, delle vostre sofferenze psicologiche in questo periodo terribile che sta vivendo l’umanità e se la scorsa estate vi era la speranza di trovarsi in una situazione momentanea, via via che il tempo trascorreva l’angoscia per il futuro attanagliava molte persone fino a farle perdere il gusto di sorridere e di gioire (oltre alla perdita dell’altro gusto per chi è stato colpito dal virus). Io, ad esempio non vedo più il TG da mesi perchè mi prendeva un raschietto alla gola e mal riuscivo a deglutire…. e dire che mi ritengo una persona forte. L’estate è alle porte ma non siamo più propensi a credere che tutto si risolverà. E per tornare al tema della citazione, io sto vedendo con il cuore tutte le persone che mi stanno scrivendo.
Capisco che la gente non ha più voglia di interagire pubblicamente perché non si sente felice, ma va bene così, io esprimo un mio pensiero e sono onorata di dedicarvi parte del mio tempo rispondendo per e-mail.
Cosa ne pensate di quello che dice la volpe?

Abraham Lincoln
Stupenda citazione. Mi ha così colpito, che l’ho postata per un anno intero sul mio profilo WhatsApp. Vi rimando, cliccando qui, a una graziosa vignetta in cui queste parole di Lincoln sono rappresentate nel secondo riquadro. Gli altri tre riquadri mostrano come un uomo inginocchiato possa apparire enorme in altre situazioni di solidarietà.
Come vivete i vostri momenti di solidarietà e cosa fate per il prossimo? Nel mio libro riconosco di non aver fatto mai nulla per il prossimo e subito dopo come scusante accampo il pretesto della mancanza di tempo a causa degli impegni lavorativi. Ma veramente una persona che lavora molto non riesce a ritagliarsi delle ore da dedicare a chi ha bisogno di una parola di conforto, di un aiuto economico, o di un qualunque altro piccolo gesto che assomigli alla fratellanza e all’umanità? O piuttosto, il sentirci realizzati nell’ambito lavorativo o semplicemente provare soddisfazione del lavoro che facciamo, ci riempie di amor proprio sino da considerarci principio e fine di tutto?
Qual è il vostro pensiero in proposito? Commentate in basso!

Gabriel Garcia Marquez (detto Gabo)
Troverete questa citazione nel mio libro, nella pagina successiva a quella della Prefazione, e quando la lessi la prima volta la trovai assolutamente corrispondente alla realtà. L’analizzo velocemente insieme a voi, ripercorrendo col pensiero il viaggio nel passato che ho fatto nei quaranta giorni che ho impiegato per scrivere la mia storia.
Cosa ho scritto nel mio romanzo autobiografico? Innanzitutto, ciò che ricordavo di quella che io ho chiamato la seconda fase della mia esistenza. Come l’ho raccontata? Esattamente nella maniera che io ricordavo, senza cambiamenti di comodo per adattarla a un romanzo. E quello che uscito da questa mia fatica è la mia vita.
Concordate anche voi su quello che Gabo voleva dire?
Commentate qui sotto!
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13 Commenti
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Bella questa citazione. È vero quello che dice Gabo, che la vita è quella che si ricorda perché vi sono degli accadimenti che la nostra mente volutamente rimuove. Il raccontarla, la vita, è poi tutta un’altra questione. Io sono due anni che ho iniziato a scrivere la mia autobiografia, ma non riesco a mettere la parola fine a quello che ho scritto finora. Complimenti a Gloria che in meno di due mesi ha tradotto parte della sua vita in un appassionante romanzo.
Luisa cara, tu due anni che hai iniziato a scrivere la tua autobiografia e io allora che ho iniziato dieci anni fa? 😦 Conosco Gloria xché sono la grafica che ha creato il suo logo e spero che l’esperienza di questa mia amica mi aiuti a mettere la parola fine al mio libro. Concordo, ovviamente, sulla citazione di Garcia Marquez. Gloria
I ricordi sono filtrati dal nostro sentire, dal modo in cui abbiamo vissuto un determinato avvenimento e soprattutto, per gli eventi più incisivi, da come li abbiamo metabolizzati. Concordo sul fatto che a volte un processo di auto-difesa sia alla base del non-ricordo: tutto è più sfumato, più piacevole, più filtrato.
Gabo…come non vivere oggi la passionalità di Amore al tempo del colera. Come non vedere i paralleli con il nostro periodo storico. Come non amare ogni suo libro. Per rispondere all’argomento io vivo nel presente, nel qui e ora ,ma per uno scrittore nulla conta piu dei suoi ricordi
Io penso che prima di tutto occorre essere umili ed andare verso l’altro adulto o bambino che sia, proprio come modus vivendi…. i bambini sono persone bisognose di affetto e protezione e ci possono insegnare molto. Se non ritornerete come bambini….. dai bambini impariamo la capacità di meravigliarsi delle piccole cose e la fiducia sconfinata che hanno nel prossimo. L’adulto si deve fare compagno di viaggio e condividere gioie e dolori delle persone che incontra, grandi e piccoli ….. in tutti gli ambienti in cui vive il quotidiano….. A volte basta una parola per far sparire una lacrima e far tornare il sorriso, trasformando il dolore in speranza.
Cosa ho fatto io per il prossimo? Ho fatto tanto finché ho potuto e credetemi, a dare, si prova veramente una gioia incredibile.
I’ve been working in an International organization in Abidjan for various years. The sole fact to live in a country like this, gives me unexpected opportunities to offer sympathy and support. How can a human being be heartless when he sees soreness around every corner and touches misery and despair? I don’t want to enumerate what I do for the needy, I just want to highlight that I consider myself a privileged woman to work here and to be able to do something for people who suffer. I would like to tell Gloria, who says that she never did anything for the poor people because of lack of time due to her job, that it’s never too late and I could read from her novel that she already started. Go ahead fiercely!
Personalmente sto cercando di superare questo periodo facendo progetti per il futuro, pensando a questo tempo come ad una fase preparatoria e come ad un’opportunità per costruire qualcosa. Se non ci fosse stata la pandemia, avrei viaggiato molto, non avrei avuto il tempo di fermarmi e di riflettere su tante cose, come ad esempio sulla frase postata nella citazione di Gloria. Sto imparando a vedere con il cuore perché ho più tempo e qualcosa di buono forse questo virus mi ha lasciato.
È vero quello che scrive Gloria che non si ha più voglia di interagire. Io sto facendo uno sforzo rispondendo all’argomento lanciato perché mi sento in obbligo con lei per avermi fatto riflettere su quanto ha detto nella precedente citazione quando conclude il suo pensiero con le parole “il sentirci realizzati nell’ambito lavorativo o semplicemente provare soddisfazione del lavoro che facciamo, ci riempie di amor proprio sino da considerarci principio e fine di tutto.” Sì, io mi sentivo principio e fine al punto di non trovare più il tempo per gli altri, per vedere, appunto, con il cuore. Mi sono fermata e, continuo naturalmente ad amare il mio lavoro ma sto cercando di ampliare la mia visuale vedendo anche gli altri.
Si parla tanto di spiritualità e ormai in qualsiasi rivista si trova almeno una rubrica che tratta di Yoga, meditazione e terapie naturali…
C’è una domanda che frequentemente salta fuori in queste pagine: ma allora che cosa devo fare? rinunciare a tutto quello che riguarda il corpo e gli aspetti fisici della vita per dedicarmi all’ascetismo e alla contemplazione? Mi devo sentire in colpa se quei sandaletti di vernice rossa che ammiccano dalla vetrina mi chiamano con una voce irresistibile? Mi devo cospargere il capo di cenere e trovare un modo per espiare la colpa della tentazione? Se mi piace circondarmi di belle cose e oggetti gradevoli devo svuotare la casa e ritrovarmi a vivere in una celletta stile monaco Zen o Francescano?
La risposta a questa apparente contraddizione potrebbe risiedere nel concetto di NON ATTACCAMENTO o NON IDENTIFICAZIONE. Il punto centrale della questione è trovare una risposta alla domanda CHI SONO IO?? Che cosa definisce la mia identità?
Quando comincio ad occuparmi di questi aspetti invisibili di me stessa ed inizio ad esplorare con più attenzione i piani più sottili della mia vita posso anche concedermi una bella borsa nuova o un vestito modaiolo… quando trovo la via per entrare in contatto con il mio “dentro”, il “fuori” diventa soltanto un mezzo, un veicolo di esplorazione… se non uso gli accessori alla moda per dimostrare che valgo, che sono degna di attenzione, ma soltanto come un bel giocattolo con cui decorare la mia vita che è già bella e di valore anche senza di loro… non avrò più paura di apparire vanitosa, vuota ed egoista… La forma non può sostituire la sostanza… ma può contribuire a renderla più bella….
Il gabbiano Jonathan è convinto di quello che vuole e fa di tutto per ottenerlo, soffrendo molto, perché viene allontanato dallo stormo e rimane solo. Allora mi chiedo quale sia il nesso tra la citazione postata e la domanda fatta da Gloria. Avendo letto il libro della scrittrice, posso capire che persone come la protagonista del suo romanzo possano vivere queste contraddizioni. Gloria ama le belle e ricche cose della vita ma nel contempo sembra avere una spiritualità profonda quando parla del suo amico poliomielitico o dell’aborto o della chiesa e così via. Ci credo quando lei scrive di non curarsi del giudizio degli altri (e questa è la citazione), così come credo che lei non riesca a staccarsi dalle cose materiali, come ribadito da lei stessa nell’articolo. Io penso che la risposta l’abbia data Diamante alla quale faccio i miei complimenti per la chiarezza della sua esposizione.
“Vivere nel mondo come non fosse il mondo, rispettare la legge e stare tuttavia al di sopra della legge, possedere come se non si possedesse, rinunciare come se non si fosse in rinuncia: tutte queste esperienze di un’altra saggezza di vita si possono realizzare solo con l’umorismo.” [ Hermann Hesse – Il lupo della steppa https://www.frasicelebri.it/s-libro/il-lupo-della-steppa/%5D.
Grazie Giulio per le tue gentili parole!
Clarissa Pinkola Estés, poetessa e psicoanalista americana, scrive: “il grande lavoro che ci aspetta è quello di imparare a comprendere quanto attorno a noi e dentro di noi deve vivere, e che cosa deve morire. Il nostro lavoro consiste nell’apprendere il ritmo di entrambe le cose, consentire a ciò che deve morire di morire, e a ciò che deve vivere di vivere”. (C. Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, 2009, p. 33).
E così il viaggio si svela come una opportunità per rivolgere l’ attenzione a ciò che abbiamo dentro. Ci muoviamo e guardiamo il mondo di fuori, e allo stesso tempo prestiamo attenzione a cogliere echi e segnali che ci arrivano dall’interno. Ogni paesaggio, orizzonte o situazione si fa’ occasione per fermarsi a pensare, rielaborare, capire, scegliere.
Qualsiasi cambiamento richiede azione, ma l’azione efficace nasce dal comprendere quello che non funziona più e dalla visione di qualcosa che potrebbe sostituirlo.
Lasciar morire (pezzi di noi che non servono più) per poter rinascere… “partire è un po’ morire”… per ognuno qualcosa di diverso, ma forse con un obiettivo condiviso… ritornare dal viaggio rinnovati, più ricchi e pieni di stimoli. Ritornare più liberi e leggeri ricordando che sempre qualsiasi forma di cambiamento comincia dentro di noi.
I giochi di parole ci aiutano, più che a sciogliere, a ingarbugliare la questione. Il viaggio di piacere si definisce anche ‘d’evasione’ e l’evasione, nella sua ambiguità, ci porta alla prigione, allo stallo del tempo, alla fissità delle abitudini, a ciò che ormai per moltissimi è il lavoro. Per un sempre maggior numero di persone il viaggio si collega all’idea stessa dell’obbligo, della costrizione. Lo spazio del piacere tende sempre più a ridursi e il viaggio di svago a somigliare a quello di lavoro. L’eccezione riguarda un numero progressivamente decrescente di happy few.